La vera guerra di Troia

Il rapimento di Elena, il viaggio della flotta greca, gli epici combattimenti nella piana di Ilio, fino alla conquista della città grazie al celebre stratagemma del cavallo di legno: l'Iliade e l'Odissea ci hanno narrato lo svolgimento della guerra di Troia fin nei minimi particolari. Una storia che affascina da quasi 3000 anni, ma che ha anche sollevato molti dubbi sulla sua veridicità.

E' credibile quello che racconta Omero?

I suoi poemi sono un resoconto fedele di un evento storico?

Oppure la guerra di Troia non è altro che il frutto dell'immaginazione del poeta?

La causa dello scoppio della guerra di Troia è tradizionalmente identificata nel rapimento di Elena, moglie di Menelao, re di Sparta, da parte del principe troiano Paride, figlio di Priamo e fratello del successore al trono Ettore.

Tale spiegazione dei fatti è più leggendaria che reale: è la giustificazione di un conflitto per motivi personali. Ma la questione del rapimento di Elena può essere un riflesso dell'importanza che nell'Età del Bronzo si attribuiva alle donne per stringere o distruggere delle alleanze. L'affronto doveva essere vendicato in ogni caso, così come il furto del tesoro reale di Sparta che Paride ed Elena avevano portato con sé a Troia.

Il regno più potente della Grecia era quello di Micene, governato da Agamennone, a cui si rivolse il fratello Menelao dopo il rapimento di Elena. Fu lanciato un proclama generale e tutti i sovrani micenei si decisero di partecipare alla spedizione: Nestore di Pilo, Achille di Ftia, in Tessaglia, Diomede di Tirinto, in Argolide, Aiace di Salamina, Idomeneo di Creta. Una potente flotta si radunò nel porto di Aulide, dove gli dei richiesero il sacrificio di Ifigenia, figlia di Agamennone, e poi salpò verso Troia.

Navigatori e pirati provetti, i Micenei erano abili nelle azioni di sbarco. Al segnale del comandante, con rapide spinte dei remi, le navi si arenavano di prua e i membri dell'equipaggio saltavano a terra protetti da frombolieri e arcieri. I frombolieri, fanti leggeri dotati di fionda, riuscivano a colpire un nemico situato a 50 metri di distanza lanciando loro i proiettili a una velocità di quasi 200 km all'ora; gli arcieri potevano centrare il bersaglio a 150 metri, o perfino a 300 di distanza se utilizzavan il cosiddetto "arco composto", come quello impiegato da Ulisse per uccidere i pretendenti di Penelope nell'Odissea, formato da un pezzo centrale di legno in cui si inserivano altri materiali dotati di grande forza di propulsione, come le corna di capra selvatica. Quando l'arco era in posizione di riposo, presentava le estremità ricurve in senso contrario a quello che assumeva in posizione di lancio; per poter montare e tendere la corda erano necessarie grande forza e abilità.

Probabilmente i Troiani cercarono di impedire lo sbarco, ma senza riuscirci; così i Greci poterono piantare l'accampamento e cingerlo con una staccionata di pietra e legno circondata da un fossato al fine di proteggersi dai carri nemici. La città di Troia era difficile da espugnare, in quanto si ergeva su una collina alta 20 metri, circondata da un muro di 350 metri di perimetro, 10 di altezza e 4 di spessore. I Troiani decisero dunque di mantenersi sulla difensiva e di non affrontare i loro avversari in campo aperto. Per fare provviste i Greci dovettero compiere delle scorrerie nella regione e vi furono carestie, discussioni per la ripartizione del bottino; in tale contesto va collocata la disputa di Agamennone e Achille che portò quest'ultimo, in collera per aver dovuto consegnargli la schiava Briseide, a rifiutarsi di continuare a combattere.

Il carattere classista della società micenea, spiega il fatto che Omero enfatizzi soltanto gli scontri tra i condottieri dei due schieramenti e i contrasti tra i nobili di una stessa formazione. Il più importante dei duelli narrati è quello che mise l'uno contro l'altro Achille ed Ettore. Una volta morto Patroclo, braccio destro di Achille per mano del troiano, il " pié veloce " ritornò a combattere e uccise il figlio di Priamo. L'Iliade si conclude con i funerali di Ettore.

Ettore, presagendo il suo destino, prima di andare a combattere incontra la moglie e il figlio. Andromaca è angosciata: ha già visto uccidere da Achille tutti i suoi familiari, non può perdere anche il marito. Cerca di dissuaderlo. " Misero, il tuo coraggio t'ucciderà, tu non hai compassione / del figlio così piccino, di me sciagurata, che vedova presto / sarò " ( II. VI, 407-9)
L'eroe risponde che combattere è un atto di responsabilità per salvare la dignità della propria famiglia. Tende infine le braccia verso Astianatte, ma il bimbo si ritrae " spaventato dal bronzo e dal cimiero chiomato / che vedeva ondeggiare in cima all'emo "
Il fiero Ettore, toccato, depone le armi e, sollevato fra le braccia il figlio, prega Zeus di riservargli una sorte gloriosa, che possa così ripagare le sofferenze patite dalla madre. Mentre Ettore va a combattere, Andromaca torna a casa in lacrime. E' lei, in un poema dominato da guerrieri solitari senza affetti, l'eroe più tragico. Non le viene risparmiato nemmeno Astianatte: Neottolemo, figlio di Achille, lo getta dalle mura di Troia su consiglio di Ulisse, per evitare che Ettore, che a differenza del prolifico Priamo ha solo un figlio, continui a vivere nei suoi discendenti. E' lo stesso Neottolemo a condurre poi Andromaca in Epiro, come concubina e preda di guerra.
Storica nr. 13/2010

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