Il compleanno dell’Italia

 E finalmente questo tanto discusso 17 marzo è arrivato … e vista l’ora va concludendosi.

Bello e importante festeggiare il compleanno della nostra nazione, soprattutto per il grande rispetto che dobbiamo avere nei confronti dei tanti che hanno dato la vita per un’Italia unita.

Sicuramente mi ha fatto sorridere sapere che qualche città dell’estremo nord non lo ha festeggiato perchè si sente più austriaca che italiana, mi ha molto rattristato però tutta la polemica sulla chiusura o meno degli esercizi commerciali. Nel mio piccolo paese un’ordinanza del Sindaco ha imposto la totale chiusura dei negozi, senza differenza alcuna … Poi, però, stamane non c’è stata alcuna manifestazione … Mi aspettavo la banda, una parata delle forze dell’ordine … qualcosa insomma …

E così mi sono “festeggiata” questo 150° compleanno a modo mio.

Prima di tutto, con un debole spiraglio di sole, ho portato i bimbi al parco, vederli correre, ridere e divertirsi è sicuramente una gioia, e un segno di unione: l’unione di una famiglia felice. Dopo pranzo ho fatto loro ascoltare l’Inno di Mameli … Lo avevano già sentito alla scuola materna e dopo un paio di volte conoscevano già la melodia … anche se con le parole abbiamo avuto qualche problema ( Scipio è un termine un pò così … )

E poi abbiamo costruito le nostre piccole bandierine dell’Italia colorando un foglio e attaccandolo a una cannuccia … Mio figlio si è chiesto se da qualche parte c’era una torta con tante candeline e chi le avrebbe soffiate … Forse tutti quei ragazzi, quegli uomini e quelle donne che hanno lottato, credendo  nell’ideale dell’Italia unita e che ci hanno permesso di poter dire “ sono un italiano “

Italia

Quello che resta di un amore





Fin'ora ( 33 anni ) posso dire di aver vissuto solamente 3 storie importanti: quella attuale con l'uomo che amo e che ho sposato, una storia breve ma che mi ha lasciato tanto dolore nel cuore ( che probabilmente era importante solo per me ) e la mia prima storia seria, quella che io definisco " col mio ex".


Lui è del mio stesso paese, avevo 16 anni quando ci siamo conosciuti e dopo poco piaciuti, lui ne aveva 18, un carattere fantastico, sempre sorridente, molto di compagnia, solare e divertente.

E' stato il primo rapporto che mi ha fatto battere il cuore, quello che ti da i brividi quando ascolti una canzone, quello che ti fa scrivere il suo nome sul diario a caratteri cubitali: un amore da adolescente.



E' durato 6 anni, periodo in cui posso contare sulle dita di una mano le discussioni o i litigi: due.


Avevamo molte affinità: entrambi odiavamo i gesti "smielosi" in pubblico, ci piaceva divertirci insieme in quella che era "la compagnia", avevamo i nostri momenti soli, ma trovavamo molto importante non isolarci dagli amici, che a quella età sono veramente importanti. Non siamo mai stati gelosi l'uno dell'altra ( o per lo meno non ce lo siamo mai ammessi ), il nostro rapporto era basato su una totale fiducia e su un fortissimo rispetto reciproco.



Poi è finita. E' finita in una maniera insolita, a ripensarci ora mi chiedo davvero come abbiamo fatto.

Io avevo 22 anni, nonostante ciò alle 2.30 avevo tassativo il rientro a casa ( i miei sono sempre stati abbastanza rigidi sugli orari ... Persino la sera dell'addio al nubilato, e avevo 28 anni, mio padre mi ha chiesto l'ora del rientro ... ). Al solito bar di ritrovo del weekend, i ragazzi organizzavano per una discoteca abbastanza lontano, sapevo che non avrei mai potuto andare, non sarei rientrata per l'orario stabilito, e così dissi al mio lui che non avrei partecipato, ma lui era liberissimo di andare, non volevo che per l'ennesima volta, rinunciasse a qualcosa per me e i miei stupidi orari.

Non so come, ma quella sera realizzai che il nostro rapporto a due mi stava stretto; avevo voglia di libertà, di non dover render conto a nessuno, desideravo gestirmi la vita senza legami. E così il giorno seguente gli e ne parlai. L'impatto non fu dei migliori ... Decidemmo di non vederci per un pò, per poter valutare se eravamo realmente essenziali l'uno per l'altra.

E qui accadde la sorpresa. Dopo due settimane ci rincontrammo ... E fu lui ad ammettere che il nostro non era amore ... era una splendida, fantastica amicizia.

So che detto così pare un frase da film, ma a distanza di 10 anni posso confermare che tra noi c'era e c'è tutt'ora un sentimento forte, ma che non può essere chiamato amore.

La parte complicata sussiteva nel fatto di riuscire a rimanere amici, senza che le malelingue e i dispetti rovinassero tutto. E' stato veramente molto difficile, a lui hanno riferito di avermi visto con chissà quanti ragazzi, a me hanno raccontato che la sera usciva e non perdeva occasione per provarci con qualsiasi ragazza gli capitasse ... Tutte falsità, e noi siamo riusciti a comprenderlo e a non cadere nella tentazione di perdere il rispetto reciproco.

Non posso dire con chiarezza come abbiamo fatto, ma 6 anni fa quando mi sono sposata, lui era al matrimonio con la sua attuale compagna, che, come mio marito, dopo un primo momento di incredulità riguardo la nostra amicizia, ha compreso benissimo che non ha nulla di cui essere gelosa.

Ed è bello poter raccontare di avercela fatta, di essere riuscita a mantere ottimi rapporti con una persona a cui hai voluto bene, con cui hai condiviso una parte importante della tua vita, senza mai cadere nel baratro delle coppie che si lasciano. Di questo vado fiera e devo ringraziare anche lui, che da tanto tempo mi apprezza, mi rispetta e mi vuole bene.

2 agosto 1980



Il 19 avrei compiuto 3 anni. Ero piccola nel 1980 e non posso dire di ricordarmi realmente cosa fosse accaduto in quella tragica giornata. Ho solo un'immagine impressa nella mente


I miei aveva una vecchia TV in bianco e nero senza telecomando e quella sera hanno seguito il tg anche se io ero presente a tavola e le immagini non erano certo adatte ad una bambina. Ricordo la grossa preoccupazione per una parente che studiava a Bologna, e che siamo riusciti a rintracciare solo il mattino seguente.


Ricordo tanti commenti, la preoccupazione di mio nonno, che aveva vissuto la guerra, le lacrime di mia nonna che ricordava gli orrori di chi il conflitto interno l'aveva vissuto a casa con dei bimbi piccoli da proteggere.


Sono sincera, non avevo la minima idea della gravità del fatto, solo l'immagine della stazione distrutta ...



Poi ho cominciato a vivere Bologna, l'ho frequentata per divertimento, per lavoro e anche da turista, e da dove vivo io, il mezzo più comodo per raggiungerla è il treno.


La prima volta che sono arrivata in stazione a Bologna avevo 17 anni e come un flash mi è riapparsa quell'immagine di 14 anni prima; ricordo di aver avuto un brivido, di aver avuto per un lunghissimo momento ... paura ... Timore che, come allora, da un momento all'altro tutto potesse crollare, la polvere, le urla i corpi straziati ...


Sono passati 30 anni da vile gesto e posso dire di aver frequantato spesso la stazione di Bologna, ma non sono mai riuscita a sostarvi dentro, soprattutto nell'anno 2001. Ero lì per la fiera del Saie, e agli ingressi erano presenti tantissimi controlli, dopo quello che era accaduto a settembre non si lasciava nulla al caso. La domenica verso le 17 sono scesa dal taxi in piazzale 2 agosto 1980, proprio davanti alla stazione di Bologna. Sono entrata, ho acquistato il biglietto per il rientro e mi sono voltata. La sala era gremita di persone, che arrivavano, che partivano, che sostavano in attesa del proprio treno ... la stessa gente che poteva esser presente quel giorno di inzio esodo ...


Di nuovo quel brivido, quell'ansia, quella paura resa ancor più forte dal forte rischio attentati che respirava ... Sono uscita, mi sono appoggiata ad un pilastro dei portici antistanti ... Nemmeno lì sarei stata in salvo, ma l'interno della stazione mi soffocava ...


E oggi, dopo anni, ripenso alla paura di quel giorno, mi chiedo che colpa avessero le vittime di quella carneficina, cosa c'entrassero con i malefici progetti degli ideatori della strage ... E un quesito continua a ripresentarsi insistente nella testa .... PERCHE' ?







I templari





Sto leggendo un libro che tratta del tesoro dei Cavalieri Templari.

Cercavo qualcosa da leggere durante l'estate e l'ho adocchiato un giovedì facendo spesa al supermercato.

Questi fantomatici eroi crociati mi hanno sempre affascinato: erano davvero così intelligenti? Qual'era la loro vera missione ? Il loro tesoro ha un valore davvero così inestimabile? E soprattutto: ma sono realmente esistiti?


Roberto Giacobbo mi piace moltissimo, il programma Voyager è un appuntamento fisso, mi piace come spiega, come ti incuriosisce e cattura la tua attenzione, e così ho messo il libro nel carrello e sono andata in cassa.

La lettura in sé riportava tante nozioni che avevo già sentito, la nascita dell'ordine, le gesta eroiche in Terra Santa, la perdita del Santo Sepolcro, la riconosciuta importanza dell'ordine da parte del Papa e di tanti regnanti. E poi il declino: la guerra che fece loro Filippo il Bello, la resa di Clemente V e il rogo del Gran Maestro, con la leggendaria fuga di 18 imbarcazioni dal porto di La Rochelle, navi che dovevano avere a bordo il grandissimo tesoro dei Templari.

Ma la mia attenzione è stata catturata da un'affermazione che mi ha davvero sorpreso.

Dopo la fuga dalla Francia, le 18 navi si sono separate e 9 sembra siano arrivate in Scozia, accolte e "coperte" dalla famiglia Sinclair. Un discendente di questa dinastia, tale Henry Sinclair, pare che, senza nemmeno molti sforzi, fosse arrivato in quello che sarebbe stato definito "il nuovo mondo" ossia il continente americano, con lo scopo di portare in salvo, il più lontano possibile dalla Francia e dai persecutori, il tesoro dei Templari che aveva accolto in Scozia. Certamente non attraccò a New York, ma con molta probabilità nella parte settentrionale del Canada, ma in alcune immagini dell'epoca appaiono uomini con copricapi piumati, e sculture di mais ... Tutte cose che sono giunte a noi dopo la scoperta dell'America da parte di Cristoforo Colombo. Solo che questo signor Sinclair è vissuto all'incirca 200 anni prima.

E qui l'ipotesi che mi ha lasciato basita ...

Con un giro di parentele ( che ho dovuto rileggere un paio di volte per comprendere ), Colombo sarebbe giunto in possesso degli appunti dell'esploratore Sinclair, e che quindi, quando salpò alla ricerca di una via per le Indie, fosse pienamente a conoscenza di questa terra che avrebbe incontrato sulla sua tratta.

E dietro tutto questo ci sarebbe nuovamente l'ordine dei Templari.


Le tre caravelle con cui salpò Colombo, portavano ben impresso il simbolo templare della rossa croce

Ma davvero questi cavalieri così misteriosi sapevano dell'esistenza di un nuovo continente, erano già stati nelle Americhe, conoscevano il territorio e gli abitanti ?


Possibile che una scoperta così sensazionale come quella di Colombo, sia in realtà un progetto di un ordine che da tanto tempo risultava sciolto e che quindi operava nel segreto?


Non so se davvero esista un tesoro materiale dell'ordine dei Templari, ne se sia stato realmente nascosto e sia tuttora "in buone mani", sicuramente la conoscenza e i segreti che questi cavalieri avevano, possono essere un tesoro di inestimabile valore.

Passatempi ...

Qual' è l'hobby più gettonato per un camionista? ... pulire la propria auto !!!

E' sì, perchè in quel poco tempo libero che hanno ( ammesso che ne abbiano ) non si preoccupano, che so, di riposarsi, di fare una bella camminata a piedi col cane, di guardare la tv rilassati sul divano ... No, la prima cosa che balza alla mente è di pulire l'auto !

E quindi ci si attrezza con il bidone aspiratutto ( inserito in cima alla lista nozze ... ), la spugna, il detergente delicato per la carrozzeria dell'auto, quello che toglie anche le cakkatine di mosca ma non toglie lucentezza al metallizzato, ( poi magari per lavarsi nella doccia per loro va bene anche il sapone da bucato ), la pelle di daino per asciugarla, il detergente per i vetri ( quello che non lascia la benchè minima ombra di alone ), il lucido per i cerchi e il nero per le gomme.

E così in t-shirt mezze maniche ( mettersi a petto nudo è un pò prematuro ) si comincia con l'aspirazione di ogni singolo oggetto, briciola o polvere di terra ci sia depositato sui sedili; facendo molta attenzione alle insidiose pieghe e angoli non visibili, si ravana col tubo dell'aspirapolvere per disinfettare ogni angolo visibile e invisibile ai nostri mortali occhi.

Si sbattono le pedane, si lava accuratamente la pedana di gomma ( quella che quando sali " ... mi raccomando, i piedi sulla pedana di gomma, che hai le scarpe sporche " e tu ti fai tutto il viaggio come seduta sul wc ), si puliscono i vetri con una foga e un impegno che nemmeno il giorno del matrimonio ci hai messo tanta concentrazione, e alla fine si parte col lavaggio esterno.

E qui arriva l'apice. Si bagna l'auto con l'acqua, si passa la spugna bella carica di schiuma, si da una prima grossolana rischiacquata ... e poi si passa al pennello !!! Certo, il pennello ... Per pulire le fessure delle portiere ... ( ... a volte davvero mi chiedo se i neuroni funzionano o sono ancora in letargo ... Neuroni? ... Quali neuroni .. ?)

Si conclude con una perfetta asciugatura e per almeno 3 ore non puoi abbassare i finestrini, nemmeno se all'interno ci sono 40 gradi ... altrimenti rimane il segno!

Tutto questo per un'auto che domani tornerà a caricare due pargoli che, salendo, strofineranno i loro santi piedini infilati nelle loro beate scarpine, accanto alle portiere, si accomoderanno sui seggiolini infischiandosene se lasciano le strisciate delle suole sui sedili, e che dopo un paio di minuti a bordo, chiederanno insistentemente un pacchetto di crackers da sbriciolare comodamente.

Quindi mi chiedo: ma vale veramente la pena fare tutto questo ?

Non so per voi, ma per un camionista rompispoiler come mio marito, sì ...

E non immaginate che rabbia quando con aria mediocre guarda la sua pupilla dicendo :
_ Sì ... insomma, ci ho dato solo un colpaccio ... La prossima volta la lavo meglio ... _

neve a lume di candela

Martedì, dalle mie parti, era in atto una bufera di neve. Dalle finestre si vedevano i fiocchi sbatacchiati dal vento posarsi sull'asfalto, sulle piante, sui prati, rendendo il tutto simile ad una puntata del cartone Heidy.



Già da lunedì eravamo reclusi in casa, causa tosse e febbre di Pietro, così abbiamo trascorso il pomeriggio di martedì a cercare nuovi giochi per trascorrere la giornata.



Improvvisamente un black out ci ha oscurato il soggiorno ... Fortunatamente erano le 16.30 e ancora un pò di luce entrava dalle finestre.



Il grosso problema era il riscaldamento, il cibo in frigorifero, infatti, poteva essere tranquillamente trasferito sul davanzale della finestra.




Verso le 18, però, la corrente non era ancora tornata e così ho pian piano illuminato la casa con tutte le candele disponibili. I miei piccoli sono rimasti estasiati, per loro le candele erano utili solo nei compleanni. Ho raccontato loro che quando mia nonna era una bambina, le lampadine non esistevano e quando veniva sera si poteva vedere solo grazie alle candele.


Presi dall'enfasi dell'illuminazione cerata mi hanno subito fatto una richiesta " ... mamma, guardiamo un cartone in dvd con le candele accese ". Ho dovuto anche spiegare loro che senza la corrente elettrica non si poteva guardare la tv ( ... mamma, ti sei sbagliata, si chiama luce non corrente ), e così hanno optato per un album da colorare. Ho messo una candela sul tavolino e, inginocchiati, hanno riempito pagine e pagine di colore.




Poi, il grande problema è arrivato: la pipì. Pietro non ne voleva sapere di fare pipì con la luce della candela; in primo luogo era sicuro che non avrebbe trovato il pisellino nelle mutande perchè non lo vedeva e poi non avrebbe visto nemmeno dove si dirigeva il getto, con l'enorme rischio di farla fuori. Dopo 5 minuti di discussioni abbiamo trovato un'ottima soluzione: l'avrebbe fatta da seduto.




Mi accingevo a preparare la cena, pregustando un momento romantico e intimo accompagnato dalla soffusa luce delle candele, quando improvvisamente la luce è tornata. I bimbi hanno immediatamente abbandonato i loro giochi e hanno richiesto a gran voce il dvd di Tom e Gerry.


Con un pò di tristezza ho spento le fiammelle traballanti delle mie candele, addio cenetta romantica, addio luce soffusa, addio atmosfera da sogno ...

La vera guerra di Troia

Il rapimento di Elena, il viaggio della flotta greca, gli epici combattimenti nella piana di Ilio, fino alla conquista della città grazie al celebre stratagemma del cavallo di legno: l'Iliade e l'Odissea ci hanno narrato lo svolgimento della guerra di Troia fin nei minimi particolari. Una storia che affascina da quasi 3000 anni, ma che ha anche sollevato molti dubbi sulla sua veridicità.

E' credibile quello che racconta Omero?

I suoi poemi sono un resoconto fedele di un evento storico?

Oppure la guerra di Troia non è altro che il frutto dell'immaginazione del poeta?

La causa dello scoppio della guerra di Troia è tradizionalmente identificata nel rapimento di Elena, moglie di Menelao, re di Sparta, da parte del principe troiano Paride, figlio di Priamo e fratello del successore al trono Ettore.

Tale spiegazione dei fatti è più leggendaria che reale: è la giustificazione di un conflitto per motivi personali. Ma la questione del rapimento di Elena può essere un riflesso dell'importanza che nell'Età del Bronzo si attribuiva alle donne per stringere o distruggere delle alleanze. L'affronto doveva essere vendicato in ogni caso, così come il furto del tesoro reale di Sparta che Paride ed Elena avevano portato con sé a Troia.

Il regno più potente della Grecia era quello di Micene, governato da Agamennone, a cui si rivolse il fratello Menelao dopo il rapimento di Elena. Fu lanciato un proclama generale e tutti i sovrani micenei si decisero di partecipare alla spedizione: Nestore di Pilo, Achille di Ftia, in Tessaglia, Diomede di Tirinto, in Argolide, Aiace di Salamina, Idomeneo di Creta. Una potente flotta si radunò nel porto di Aulide, dove gli dei richiesero il sacrificio di Ifigenia, figlia di Agamennone, e poi salpò verso Troia.

Navigatori e pirati provetti, i Micenei erano abili nelle azioni di sbarco. Al segnale del comandante, con rapide spinte dei remi, le navi si arenavano di prua e i membri dell'equipaggio saltavano a terra protetti da frombolieri e arcieri. I frombolieri, fanti leggeri dotati di fionda, riuscivano a colpire un nemico situato a 50 metri di distanza lanciando loro i proiettili a una velocità di quasi 200 km all'ora; gli arcieri potevano centrare il bersaglio a 150 metri, o perfino a 300 di distanza se utilizzavan il cosiddetto "arco composto", come quello impiegato da Ulisse per uccidere i pretendenti di Penelope nell'Odissea, formato da un pezzo centrale di legno in cui si inserivano altri materiali dotati di grande forza di propulsione, come le corna di capra selvatica. Quando l'arco era in posizione di riposo, presentava le estremità ricurve in senso contrario a quello che assumeva in posizione di lancio; per poter montare e tendere la corda erano necessarie grande forza e abilità.

Probabilmente i Troiani cercarono di impedire lo sbarco, ma senza riuscirci; così i Greci poterono piantare l'accampamento e cingerlo con una staccionata di pietra e legno circondata da un fossato al fine di proteggersi dai carri nemici. La città di Troia era difficile da espugnare, in quanto si ergeva su una collina alta 20 metri, circondata da un muro di 350 metri di perimetro, 10 di altezza e 4 di spessore. I Troiani decisero dunque di mantenersi sulla difensiva e di non affrontare i loro avversari in campo aperto. Per fare provviste i Greci dovettero compiere delle scorrerie nella regione e vi furono carestie, discussioni per la ripartizione del bottino; in tale contesto va collocata la disputa di Agamennone e Achille che portò quest'ultimo, in collera per aver dovuto consegnargli la schiava Briseide, a rifiutarsi di continuare a combattere.

Il carattere classista della società micenea, spiega il fatto che Omero enfatizzi soltanto gli scontri tra i condottieri dei due schieramenti e i contrasti tra i nobili di una stessa formazione. Il più importante dei duelli narrati è quello che mise l'uno contro l'altro Achille ed Ettore. Una volta morto Patroclo, braccio destro di Achille per mano del troiano, il " pié veloce " ritornò a combattere e uccise il figlio di Priamo. L'Iliade si conclude con i funerali di Ettore.

Ettore, presagendo il suo destino, prima di andare a combattere incontra la moglie e il figlio. Andromaca è angosciata: ha già visto uccidere da Achille tutti i suoi familiari, non può perdere anche il marito. Cerca di dissuaderlo. " Misero, il tuo coraggio t'ucciderà, tu non hai compassione / del figlio così piccino, di me sciagurata, che vedova presto / sarò " ( II. VI, 407-9)
L'eroe risponde che combattere è un atto di responsabilità per salvare la dignità della propria famiglia. Tende infine le braccia verso Astianatte, ma il bimbo si ritrae " spaventato dal bronzo e dal cimiero chiomato / che vedeva ondeggiare in cima all'emo "
Il fiero Ettore, toccato, depone le armi e, sollevato fra le braccia il figlio, prega Zeus di riservargli una sorte gloriosa, che possa così ripagare le sofferenze patite dalla madre. Mentre Ettore va a combattere, Andromaca torna a casa in lacrime. E' lei, in un poema dominato da guerrieri solitari senza affetti, l'eroe più tragico. Non le viene risparmiato nemmeno Astianatte: Neottolemo, figlio di Achille, lo getta dalle mura di Troia su consiglio di Ulisse, per evitare che Ettore, che a differenza del prolifico Priamo ha solo un figlio, continui a vivere nei suoi discendenti. E' lo stesso Neottolemo a condurre poi Andromaca in Epiro, come concubina e preda di guerra.
Storica nr. 13/2010